NAPOLInelCINEMA

Napoli è Cinema…fa Cinema…ispira il Cinema

Cinema InternazionaleNews

SILENZIO!, un’opera pungente sulle dinamiche educative e sul complesso ruolo degli insegnanti

condividi articolo

Ispirato a fatti realmente accaduti al regista e professore di lettere Teddy Lussi-Modeste, Silenzio! arriva nei cinema italiani dal 27 febbraio distribuito da No.Mad Entertainment, sia in versione originale con sottotitoli italiani che doppiato.

Un dramma dai toni del thriller, scritto dallo stesso regista con Audrey Diwan, che vede protagonista François Civil, attore già apprezzato nel personaggio di D’Artagnan nella saga “I Tre Moschettieri” e nel film record di incassi in Francia “L’amore folle”, presentato in anteprima e in competizione ufficiale all’ultimo Festival di Cannes 2024.

François Civil veste i panni di Julien, un professore scrupoloso che vive un dilemma professionale e morale pur essendo innocente. Questa vicenda lo segnerà a vita perché fuori da ogni controllo. Un personaggio complesso e intriso di umanità che si muove in un ambiente, la scuola, che purtroppo riflette la società di oggi. “

Silenzio!” è un’opera pungente che riesce a far riflettere sulle dinamiche in ambito educativo e sul complesso ruolo degli insegnanti, toccando temi attuali come la vita scolastica, l’omosessualità, l’utilizzo improprio dei social network e il disagio sociale nei quartieri popolari. Teddy Lussi-Modeste è abile nel raccontare una storia delicata e difficile, senza mai puntare il dito verso un colpevole, perché ognuno dei personaggi, a suo modo, ne è vittima.

La trama

Julien è un giovane insegnante di lettere. Deciso e volenteroso, cerca di creare un legame forte con i suoi studenti per renderli partecipi. Un giorno, viene ingiustamente accusato di molestie da una sua alunna. La voce si sparge velocemente ed entrambi si ritrovano intrappolati in un ingranaggio incontrollabile.

Quando l’atmosfera al liceo diventa incandescente, Julien spera almeno di poter contare nel sostegno della Presidenza, ma in questa situazione la sola parola d’ordine consentita è il “Silenzio!”

photographies de plateau

Intervista al regista Teddy Lussi-Modeste

Il film è ispirato da un fatto che ti è successo nella vita. Di cosa si tratta?

Il film è ispirato da una situazione che ho dovuto affrontare qualche anno fa. Un giorno, nella scuola dove insegnavo, la consigliera scolastica mi consegna una lettera scritta da una mia alunna. La ragazza mi accusava di guardarla mentre mi sistemavo la cintura. Aveva 13 anni. La situazione si fa tesa. Uno dei suoi fratelli mi minaccia di morte. Un altro la spinge a sporgere denuncia contro di me. Io non volevo smettere neanche temporaneamente di insegnare. Mi sembrava un’ammissione di colpa. Ogni giorno, tornavo a casa chiedendomi se mi avrebbero spezzato le gambe. Vivevo nella paura e nella vergogna – ma avevo anche un senso di colpa: non volevo che i miei colleghi, che mi accompagnavano fino alla stazione della metropolitana, venissero aggrediti per colpa mia.

Insieme alla sua co-sceneggiatrice Audrey Diwa, come avete pensato di adattare la sua storia nel film?

Audrey mi ha aiutato a trovare la distanza necessaria per staccarmi dagli eventi che ho vissuto. Mi ha aiutato a costruire il mio punto di vista. Abbastanza presto, ci siamo detti che il film doveva raccontare la storia di un professore che si ritrova abbandonato da un’istituzione sovraccarica. Per raccontare questa storia, bisognava insistere su alcuni punti e autorizzarci a farne una finzione.

Era importante che il ruolo principale fosse interpretato da un attore del rango di François Civil? Che cosa ha portato al personaggio? È andata come lo immaginavi quando scrivevi?

Ho pensato a François Civil per Julien durante le ultime fasi della scrittura. Volevo che il ruolo fosse interpretato da un attore solare, un ragazzo giovane, dal sorriso candido, sul quale si può ancora percepire l’adolescenza. François non ha smesso di impressionarmi sul set. Era più di un attore che recita il suo ruolo: era molto investito e generoso. Ha costruito il personaggio tanto quanto me. Prima delle riprese, si è isolato per imparare il testo e al suo ritorno era diventato Julien. Qualcosa era cambiato in lui, nella sua gestualità, nella sua voce, nel suo essere. La cosa paradossale con François è che lui è una star molto identificata, ma al tempo stesso, si può proiettare su di lui qualsiasi universo. Questo deriva dal suo lavoro e dall’empatia che suscita immediatamente.

Come hai scelto il cast intorno a lui? Come avete selezionato gli studenti ad esempio?

Judith Chalier, la direttrice del casting, ha fatto un grande lavoro. In una prima fase, interrogando i ragazzi e spiegando loro il soggetto del film e ha chiesto loro di improvvisare una piccola scena. E poi, a coloro che abbiamo richiamato per un call-back abbiamo detto di preparare una scena. Dovevamo ricomporre una classe. Abbiamo fatto lavorare gli adolescenti insieme perché ero consapevole che la loro prestazione individuale, ma anche la loro prestazione collettiva fosse credibile. Attraverso la mia esperienza di insegnante, ho capito che ogni classe ha la sua energia, le sue speranze e i suoi tabù. Queste sessioni di lavoro ci hanno permesso di stabilire un rapporto di fiducia tra di noi. Gli adolescenti sapevano che ero anche un insegnante, sapevano che ero «giusto» mentre li dirigevo.

Il preside viene mostrato come un personaggio che non vuole “scandali” (Pas de vagues, titolo originale, che significa niente scandali). In questi ultimi anni, questa frase è diventata l’emblema della contestazione dei professori. Questo film che sguardo pone su questo movimento?

Scegliendo questo titolo, credo che il messaggio sia chiaro. Il film si iscrive nel movimento di liberazione della parola degli insegnanti. Dobbiamo ricordare le immagini del 2018 in cui si vede uno studente con un’arma fittizia puntata verso la sua professoressa. L’hashtag PasDeVagues è riapparso sui social. La sofferenza era troppo forte da troppi anni. Gli insegnanti avevano bisogno di parlare della violenza che subivano quotidianamente e del silenzio della gerarchia dinanzi a questo dolore. Leggendo i giornali, ci si rende conto che gli insegnanti sono poco protetti dalle istituzioni che, paradossalmente, ne hanno costruito la propria fragilità in tutti questi anni… Oggi i professori ne parlano ed è importante ascoltarli.

Nel tuo film, la versione di Leslie e quella di Julien vengono raccolte dalla Consigliera scolastica. Tuttavia, questo non basta a risolvere il problema. Come spiega questo ingranaggio che si mette in moto nonostante tutto?

Credo che il film ci mostri che dobbiamo creare dei protocolli più efficaci per ascoltare meglio le vittime… Inoltre, la specificità della storia che racconto è che sia Leslie che Julien sono delle vittime… E anche, Steve, il fratello maggiore di Leslie, è vittima: a 20 anni si ritrova da solo a portare sulle spalle la sua famiglia. Allo stesso modo, non volevo caratterizzare il personaggio di Leslie come una bugiarda. Ha sbagliato. Lei credeva davvero che il suo insegnante volesse sedurla. Abbiamo immaginato durante la scrittura della
sceneggiatura come l’idea fosse nata nella sua mente. Insieme a Audrey, abbiamo fin dall’inizio fatto questa scelta morale.

Tutti i personaggi sono intrappolati in questa situazione che degenera e dalla quale è impossibile uscire. Tutti, da Julien a Steve, vorrebbero cancellare questa situazione. Ma ognuno affronta l’irreversibile… Non volevo condannare nessun personaggio. Nessuno doveva essere messo a tacere. Ognuno doveva poter essere ascoltato. Volevo che si potesse capire il punto di vista del preside e anche quello degli altri professori. Bisognava proscrivere ogni forma di manicheismo. In questo film il nemico non è quello che crediamo. Non ha un nome, ma è ovunque: potremmo chiamarlo miseria, incultura, abbandono. Questo nemico si ritroverà in coloro per i quali Julien dedica tutto sé stesso: i suoi alunni. Poi, per contaminazione, questo nemico si diffonderà nella famiglia di Leslie, nei genitori, nei colleghi, nell’amministrazione… e in Julien stesso che sarà portato a capire che anche lui porta una responsabilità in ciò che sta attraversando.

Per quanto riguarda il preside, anche lui è soggetto al #PasDeVagues e a ingiunzioni contraddittorie: proteggere il suo team pedagogico oppure soddisfare i genitori degli studenti. Cerca di trovare un giusto equilibrio con i fatti e i dati che ha a sua disposizione. Penso sia sincero quando dice a Julien che ha voluto proteggerlo da un’eventuale punizione e che è per questo motivo che non ha inviato la richiesta di “protezione funzionale” (in Francia, è un principio di diritto a difesa degli impiegati pubblici messi in causa nell’esecuzione della loro funzione).

Non possiamo non avere un pensiero per gli insegnanti assassinati Samuel Paty (16/10/2020) e Dominique Bernard (13/10/2023). Hai parlato della vulnerabilità degli insegnanti di fronte al fallimento di un istituto. Parallelamente alla tua carriera di regista, continui ad insegnare. Sei ottimista sul futuro di questo mestiere?

Dagli omicidi di Samuel Paty e di Dominique Bernard, ogni professore sa che potrebbe essere assassinato sul suo posto di lavoro. È un terrore che ha attraversato ogni insegnante e di cui non abbiamo ancora misurato tutte le conseguenze. Stiamo educando i nostri figli con l’idea che bisogna temere in ogni momento un attacco terroristico e questo fin dall’asilo. La scuola non è più un santuario. Da qui l’ultima battuta del film: «Ha aperto la porta». Tutti insieme, abbiamo aperto la porta della scuola a tutti i mali della
società… Ma in verità la crisi di questa vocazione è iniziata molto prima, i professori non sono sufficientemente protetti e vengono talvolta anche screditati quando si parla senza imbarazzo del loro assenteismo o del loro lassismo… E per questo dovremmo arrenderci?

Ci sono ancora uomini e donne che hanno il gusto della trasmissione, dell’insegnamento – io stesso non voglio dimettermi. Sono grato per tutto ciò che la scuola mi ha dato. Io che sono nato in una famiglia di Nomadi, ovvero in un ambiente dove praticamente nessuno va a scuola dopo i 16 anni, misuro tutto quel che mi ha portato lo studio. La scuola mi ha praticamente sradicato da una vita che avrei trovato infelice. Mi ha permesso di diventare insegnante e regista. Che tristezza vedere dall’interno la scuola crollare su sé stessa. La meritocrazia ci appare ormai come una menzogna, nonostante la scuola dovrebbe rappresentare la promessa di una promozione sociale per le classi medie e popolari.

Oggi gli individui che vivono questa mobilità sociale sono sempre meno, eppure continuiamo ad usare il loro percorso di vita per far credere che l’ascensore sociale funzioni ancora. Il quadro sembra particolarmente cupo ma ci sono ancora dei momenti meravigliosi – uno studente che coglie l’ironia di un testo, uno studente che recita una poesia scritta secoli fa, la gioia di una classe durante una gita al museo o al teatro – ed è proprio per questo tipo di momenti che continuiamo.

Lo spettatore ha la sensazione di assistere a un ingranaggio che corre verso la tragedia. Il tuo film è una sorta di campanello d’allarme?

Il mio film è un grido. E finché c’è un grido esiste una speranza. Perché un grido è fatto per essere sentito. Una società, per essere tale, ha bisogno oggi più che mai che avvenga la trasmissione tra insegnanti e studenti. Per fare società, ci vuole una base in comune. E oggi c’è bisogno di riunirci attorno a dei valori umanisti, proprio quelli che si insegnano a scuola. Sono questi i valori che ci permetteranno di decostruire tutti i discorsi di odio che attraversano la nostra società e che provano a metterci l’uno contro l’altro. Julien è un idealista ed è pieno di buona volontà, però non è sempre irreprensibile. Hai scelto di renderlo più complesso e non solo un eroe. La sua collega con cui ha stretto un legame di complicità, scopre dopo che in realtà è in coppia con un uomo e gli rinfaccia di voler piacere a tutti.

Un’altra scena lo mostra essere duro nei confronti del suo compagno…Bisogna sempre cercare la complessità. Il mio personaggio ha dei difetti, delle debolezze. Si vede che per lui e il suo compagno l’omosessualità non è stata un percorso facile. Rappresenta un dubbio nel loro percorso. In compenso, non credo che volesse far soffrire la sua collega. Anche in questo caso è stato incastrato in un ingranaggio… Per me, Julien vuole essere memorabile. Vuole avere un ruolo nel destino dei suoi studenti. Vuole essere quell’insegnante che cambia una vita come colui che ha cambiato la sua. È un atto di orgoglio, ma significa anche avere un’ambizione per i suoi alunni. Quando ho iniziato a immaginare questo film ho pensato a tutti quegli insegnanti che erano stati fondamentali per me, a quelli che mi avevano passato il testimone e a chiedermi se ero all’altezza dei loro insegnamenti…

Quali sono state le vostre scelte di messa in scena per rappresentare l’universo scolastico?

Presto, mi sono detto che il film doveva sposare la forma del thriller – un thriller che non smette di tendersi fino all’esplosione finale. Se è vero che non volevo attenermi ai fatti e a come si erano svolti, volevo trascrivere le emozioni che mi avevano attraversato. Volevo che si sentisse la minaccia intorno a Julien, e dentro Julien. Ogni passo fatto nel corridoio della scuola, ogni sguardo a uno studente, ogni dito alzato, dovevano rappresentare un possibile passo falso, una violenza. Quei gesti prima banali, salutare qualcuno, arrivare a scuola, camminare verso la metropolitana, dovevano diventare un momento di tensione.

Dovevamo riprendere gli studenti, l’aula, il cortile e i corridoi, come se fossero dei luoghi di scontro. Per quanto riguarda l’estetica del film, volevo lavorare sui cambiamenti di luce all’interno di ogni piano per introdurre una estraneità. All’interno di un’aula possono entrare attraverso le finestre dei fasci di luce che possono svanire improvvisamente a causa di una nuvola. Ho voluto portare all’estremo questo processo, come se il tempo stesse impazzendo e veicolasse le emozioni dei personaggi. Volevo far vivere le inquadrature utilizzando una luce mobile e molteplici personaggi. L’idea era quella di moltiplicare all’interno del inquadratura il numero di sguardi discordanti. In altre parole: ci doveva essere una sorta di
agitazione all’interno dei piani.

Per la musica, hai pensato a Jean-Benoît Dunckel, cofondatore del duo Air. Quali direttive gli ha dato? E come ha integrato le Quattro stagioni di Vivaldi?

Jean-Benoît Dunckel è intervenuto sul film dopo una prima versione del montaggio in cui dei brani preesistenti erano stati integrati come riferimento. Per la prima volta lavoravamo insieme. Ho avuto subito fiducia nella sua sensibilità, perché anche lui era stato insegnante prima di conoscere il successo con Air. Volevo che Jean-Benoît si lasciasse trasportare dal film e mi proponesse la sua visione. Gli ho comunque parlato della volontà di integrare la musica elettronica e lo shoegaze, quelle chitarre aeree, cristalline, graffiate, che si trovano su Slow dive o My bloody Valentine.

Questa dimensione elettronica e acustica, le risonanze che lasciavamo andare alla fine delle scene, accompagnano la traiettoria del personaggio principale. Talvolta lirici, talvolta tesi, i brani composti da Jean-Benoît hanno permesso al film di rivelarsi. Per quanto riguarda Vivaldi, era inizialmente pensato come una musica extradiegetica: è il campanello che taglia la giornata in ore in questo liceo. Ma il brano risuona così tanto con la narrazione e le sue vicende che assume un valore extradiegetico. Segna come una fatalità. Appare nella prima sequenza del film: risuona prima che Julien possa spiegarsi. Ormai è troppo tardi. La tragedia è iniziata.

condividi articolo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *