“Noi credevamo” di Mario Martone – le ragioni della dis-unità di un paese
Le controverse origini di un Paese che non ha mai fatto i conti con la propria Storia
L’importanza di opere come ‘Noi Credevamo‘, di Mario Martone, sta nel far riflettere sulle proprie origini mettendole a confronto con l’attualità: mentre erano in corso i preparativi per festeggiare i 150 anni dall’Unità d’Italia arrivò nei cinema un film che narrava eventi, situazioni che la storiografia più acclamata aveva preferito semplicemente accennare se non addirittura omettere in molti casi.
Partendo dalla storia di tre ragazzi cilentani che vedendo uccidere dei rivoluzionari repubblicani dall’esercito borbonico decidono di affiliarsi alla Giovine Italia mazziniana, Martone attraversa, con il suo racconto e le sue immagini, quasi un secolo di storia italiana.
Il Risorgimento di ‘Noi Credevamo’ sottolinea le incredibili differenze tra repubblicani e monarchici, tra chi da subito vedeva, con la cacciata dei Borbone dal meridione, un’annessione del sud al regno savoiardo e chi invece era spinto da ideali democratici a combattere per spodestare una monarchia di invasori così da unificare l’intero popolo italiano sotto un’unica bandiera.
L’opera è composta da quattro parti che potrebbero tranquillamente avere vita indipendente, quattro film intensi che mostrano l’evoluzione dei protagonisti di pari passo con l’intensificarsi delle discrepanze tra le fazioni che si preparano ad unificare l’Italia: tra congiure e attentati, riunioni e proclami si assiste al passaggio dalla teoria rivoluzionaria all’azione pratica che costa prigione e torture, tradimenti e numerose morti.
Il frammento finale di ‘Noi Credevamo’ è il più devastante, l’Italia pare ormai unita con la graduale conquista dei territori meridionali, eppure l’esercito dei Savoia trucida migliaia di contadini, di lavoratori, di persone indifese accusate di essere briganti.
Arrivano i garibaldini e molti soldati dell’esercito regolare disertano e si uniscono alle camicie rosse perché è il momento di fare la vera Italia repubblicana, di conquistare Roma e di liberarsi, dopo l’autorità papale, anche di quella monarchica; ma le truppe piemontesi sparano anche su di loro, li arrestano e giustiziano senza appello i disertori.
L’Italia è stata fatta, ma a discapito e con il sangue degli italiani e nel Parlamento del Nord da alcuni di quei personaggi che avevano appoggiato la rivoluzione repubblicana vengono pronunciate parole di condanna verso Mazzini e la sua idea di unificazione repubblicana, tanto da renderlo esule in patria.
Un’opera cinematografica di pregevole livello tecnico ed interpretativo
Per preparare questo film Mario Martone ha lavorato sette anni, tra ricerche storiche, sceneggiature scritte e riscritte, fino a quella definitiva con Giancarlo De Cataldo ispirandosi, oltre a fatti realmente accaduti, anche al romanzo omonimo di Anna Banti.
L’aiuto regista, Raffaele Di Florio, ha rivelato che ci sono voluti tre anni per scegliere il cast, e una delle forze maggiori di ‘Noi Credevamo’ sta proprio negli interpreti che elevano la caratura di ogni singola scena.
Anche perché, a parte i protagonisti, eccezionali Luigi Lo Cascio e Valerio Binasco, si è al cospetto di un gruppo d’attori che sorprende come Francesca Inaudi, Michele Riondino, Ivan Franek, Guido Caprino, Stefano Cassetti, Franco Ravera, Edoardo Natoli, Luigi Pisani, Andrea Bosca, gli esperti Luca Barbareschi e Luca Zingaretti, ma soprattutto il gruppo di affezionati del regista Mario Martone, quello che rende film come ‘Morte di un matematico napoletano‘, ‘Teatro di guerra‘, cosi come quest’ultimo, risultati di un affiatamento e di un progetto in cui l’alchimia e la fiducia verso le persone con cui si lavora è totale.
Se Toni Servillo nel suo Mazzini è addirittura mastodontico, vengono esaltati, ripagando con maestria, interpreti come Renato Carpentieri, Andrea Renzi, Enzo Salomone, Antonio Pennarella, Roberto De Francesco, Salvatore Cantalupo, Anna Bonaiuto, Marco Mario De Notaris.
Emblematico il racconto di alcuni di questi attori che, per confermare la loro assoluta fiducia nell’opera di Martone, hanno detto di aver atteso in certi casi anche tre giorni prima di girare una scena, in situazioni ambientali non favorevoli come nelle riprese per le immagini della prigionia di Montefusco dei rivoluzionari, che sono avvenute, in realtà, nel paese pugliese di Bovino in due settimane di pseudo clausura tra set e albergo distanti tra loro quaranta chilometri.
A differenza di un capolavoro della cinematografia italiana che si occupa dello stesso periodo storico, ‘Il Gattopardo‘ di Visconti, Mario Martone ha scelto di evitare l’estetismo, di non eccedere in manierismi, anzi, di sopprimerli dalla sua regia non eliminando nemmeno quei momenti di imperfezione delle riprese rendendoli naturali, mostrando dissonanze storiche come uno degli interpreti con un orologio al quarzo, indugiando su un’inquadratura che dall’interno di un rifugio si sposta con il protagonista verso l’esterno rivelando che altro non è che la carcassa delle fondamenta di un edificio moderno abbandonato, evitando eccessivi movimenti di macchina.
Il regista ha voluto dimostrare che in Italia è possibile fare un film storico, in costume, un’opera corale, affidandosi ad un mondo cinematografico fatto di lavoratori egregi a cui, spesso, non è riconosciuto il giusto merito ed è in balia costante di tagli governativi, vedi FUS – fondo unico per lo spettacolo, oltre che di precarietà perenne.
La funzione didattica del Cinema che racconta la Storia da ogni punto di vista
Un film di tale imponenza e rilevanza culturale va elogiato come gemma di celluloide anche perché l’Italia, a differenza di altri paesi, ad esempio America e Francia, ha quasi sempre evitato di raccontare gli eventi storici che hanno portato alla propria nascita, come non si volesse rischiare di rompere una pacificazione che in realtà non c’è mai stata visto che una forza politica secessionista come la Lega Nord può essere stata più volte parte integrante di governi che hanno guidato la nazione.
Noi Credevamo’ è un’opera “didattica” che in un periodo in cui ci si deve destreggiare tra revisionismi di neo-monarchici, savoiardi e borbonici al tiro alla fune e finti repubblicani con problemi di memoria sarebbe utile come approfondimento per avvicinarsi alla spiegazione delle anomalie e perversioni sociali e politiche che, in oltre 150 anni, hanno fatto sì che l’Italia risultasse un paese sempre più “disunito”.