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LUCE – un film sorprendente con una bravissima Marianna Fontana

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Presentato con successo al Locarno Film Festival e ad Alice nella Città, sezione della Festa del Cinema di Roma, LUCE, opera seconda di Silvia Luzi e Luca Bellino, ha come protagonista una sorprendente Marianna Fontana accompagnata dalla misteriosa e intensa voce di Tommaso Ragno. Prodotto da Bokeh Film, Stemal Entertainment con Rai Cinema, distribuito in sala da Barz and Hippo, il film racconta la storia di un’operaia: una giovane ragazza che vive in una provincia montuosa dell’Irpinia dove lavora in una fabbrica di pelli.

Non ha un nome ma ha una grande nostalgia, quasi un’ossessione, per un padre che lei crede sia in carcere, ma è irraggiungibile ed inafferrabile come un fantasma. Un giorno d’inverno, su una spiaggia, mentre un fotografo fa volare un drone, la ragazza ha un’idea che trasforma la sua vita nella vita di un’altra. Un drone e un cellulare diventano il ponte tra i suoi desideri e la sua ossessione, tra la realtà e l’immaginazione, e danno vita a un misterioso dialogo telefonico con una voce sconosciuta.

LUCE è come un gioco di ruolo in cui nulla è ciò che sembra, dove tutto è falso e tutto è vero.

LUCE è per noi una storia di pelle, di voci e fatica, dove tutto è reale ma non tutto è vero

«In LUCE siamo tornati a temi a noi cari come la famiglia e il lavoro, provando a non tradire il nostro pensiero sulla realtà e sull’immagine, le nostre convinzioni sui fragili confini tra vero e falso. Volevamo continuare a raccontare il rapporto con il potere, che sia padre o padrone, quel potere che quando è famiglia ti schiaccia e quando è lavoro ti aliena.

Abbiamo provato a farlo attraverso il tumulto di una giovane donna in un contesto che la vuole operaia, ignorante, sottoposta, e che la induce a una scelta malsana alla ricerca di un’assenza e di una voce che diventano vita parallela. Forse inventata, o forse più vera del vero. Il metodo di lavorazione è quello che amiamo: una sceneggiatura riscritta giorno per giorno, luoghi veri, persone reali, riprese in sequenza, una recitazione che non è più finzione ma messa in scena di se stessi.

LUCE è per noi una storia di pelle, di voci e fatica, dove tutto è reale ma non tutto è vero»

Silvia Luzi e Luca Bellino

Storia di un’operaia: “Per interpretare il mio personaggio ho dovuto capire veramente che cosa significhi lavorare in fabbrica

«Questo film rappresenta per me una grande sfida. Mi sono approcciata al lavoro dell’operaia con un forte trasporto emotivo e fisico. Per interpretare il mio personaggio ho dovuto capire veramente che cosa significhi lavorare in fabbrica. Mi si formavano i calli sulle mani, le gambe si piegavano, la testa mi faceva male. Sono partita dal lavoro sul corpo, perché è una fisicità che non mi appartiene.

A livello caratteriale, la donna che interpreto ha molti lati oscuri, è una ragazza alla ricerca di libertà ma che vive in una condizione di costrizione. Nel film, la realtà e l’immaginazione si fondono.

Nonostante i mesi di lavoro duro e alienante in fabbrica, si è creato un bellissimo rapporto con gli altri operai: loro non sapevano che io facessi l’attrice. Nessuno sapeva che dovessimo fare un film, pensavano che fossi un’operaia come loro. La fabbrica non si è mai fermata per le riprese: noi ci siamo inseriti nella macchina e nei loro ritmi frenetici»

Marianna Fontana

LUCE: le numerose tematiche affrontate in un’opera utile anche a livello didattico

LA SALUTE DIGITALE DEI GIOVANI

La giovane protagonista del film evade dalla propria vita quotidiana creando una relazione affettiva con la voce al telefono. Lei cerca suo padre, trova il modo di mettersi in contatto con lui inviando un cellulare in un carcere attraverso un drone, ma quando si rende conto che la voce con cui parla non è quella che cercava fa finta di crederci e le loro conversazioni si trasformano in una recita. Lei si finge figlia e racconta il proprio quotidiano in maniera accattivante e provocatoria, l’uomo al telefono si finge padre, a tratti burbero e a tratti tenero.

Il film scava nel profondo di una problematica tremendamente attuale e che sta condizionando le vite dei ragazzi: la crescente sovrapposizione tra vita online e offline e la creazione di una vita parallela soprattutto da parte degli adolescenti, problema esploso a partire dagli anni della pandemia. I confini tra il mondo reale e quello virtuale diventano sempre più sfumati e i nativi digitali navigano costantemente tra questi due mondi trovandosi a percepire in maniera distorta la realtà e a vivere le esperienze virtuali come più autentiche e importanti di quelle reali. Questo è esattamente quello che accade alla protagonista di LUCE: la sua vita reale perde importanza, le relazioni con le colleghe e la famiglia risultano fastidiose, la sua attenzione si rivolge esclusivamente alle telefonate con la voce misteriosa.

È quello che sempre più spesso vivono le giovani generazioni, che preferiscono vivere una vita virtuale immaginaria ma perfetta rispetto a quella reale in cui ci si sente inadeguati, fuori posto, non compresi. Le conseguenze sono ormai sotto gli occhi di tutti: depressione, ansia e bassa autostima sono dilaganti, e il rischio è massimo nell’adolescenza, dove l’identità è ancora in costruzione.

LA FAMIGLIA E GLI AFFETTI

La solitudine e l’isolamento della ragazza protagonista ci mettono di fronte alla ricerca di contatto e comunicazione, al desiderio di un legame familiare che vada al di là del vincolo di parentela, ma che sia invece incentrato sull’ascolto. Il Padre (così come la madre) è un ruolo, non necessariamente una persona, è un mandato che non può essere tradito e che si basa sull’osservare, sul tutelare, sul lasciare liberi.

Il film esplora dunque l’identità in tumulto di una generazione spesso distante da quella adulta: i segreti, le angosce celate, la vulnerabilità e le speranza della giovane protagonista, raccontano la necessità di trovare uno spazio nel mondo, a partire dal nucleo familiare.

Il tema di LUCE, in fondo, è la ricerca di un legame affettivo ed il tentativo di colmare un vuoto ed un’assenza attraverso errori e bugie, per arrivare ad una libertà che è soprattutto interiore, come fosse una liberazione dalle paure, una crescita.

IL LAVORO

LUCE è un film ambientato in una fabbrica di pelli prevalentemente composta da donne, dove le dinamiche di comando sono appannaggio degli uomini. Il parallelismo tra la fabbrica e il mondo familiare (il padrone e il padre) fa riflettere sul problema di un patriarcato ancora molto presente, e su una condizione femminile spesso dimezzata del proprio potenziale.

La protagonista del film mette in atto piccoli gesti di ribellione, a partire dalla scelta che sembra insensata di inviare un cellulare in un carcere attraverso un drone, fino a quella di compiere cose ingiustificatamente vietate sul posto di lavoro.

La fabbrica in cui il film è stato girato è una delle principali aziende del settore conciario, dove si lavorano pelli pregiate destinate ai principali marchi dell’alta moda, e dove le operaie sono spesso giovani donne che non hanno terminato gli studi, alle quali è precluso un avanzamento di carriera.

IL CARCERE, LA LONTANANZA, IL LOCK DOWN

Nel film la dimensione carceraria non è mai mostrata visivamente, ma è evocata attraverso i suoni che si percepiscono dal telefono e grazie ai racconti del padre. Ne esce la narrazione di una vita di isolamento e nostalgie, di lontananza dai propri affetti e di necessità di comunicazione. La profonda solitudine della protagonista è la stessa che vive la voce con cui parla al telefono, entrambi hanno bisogno di raccontarsi ed ascoltarsi, entrambi fingono di essere ciò che non sono pur di essere accettati.

Il tema della comunicazione dentro-fuori richiama inoltre ciò che ognuno di noi ha vissuto durante gli anni della pandemia, quando tutti – soprattutto le giovani generazioni – abbiamo vissuto una sorta di condizione carceraria che ci ha portato a riconoscere in mezzi ‘freddi’ come il telefono o i social network, gli unici momenti di condivisione. Il film apre a riflessioni su giustizia, reinserimento sociale e sull’impatto del carcere sulle famiglie dei detenuti, mentre l’uso della tecnologia, come il drone, solleva interrogativi sulla privacy e sull’uso etico degli strumenti moderni, consentendo di esaminare il delicato equilibrio tra comunicazione e sorveglianza.

La famiglia, il carcere, la fabbrica sono in LUCE un’unica metafora che rappresenta la necessità di evasione e la ricerca della propria identità.

La realizzazione del film

LUCE è un film che si concentra sul volto della sua giovane protagonista. I paesaggi non permettono di riconoscere un luogo specifico, proprio perché questa è una storia che potrebbe avvenire ovunque. La fabbrica è mostrata attraverso il macchinario della lavorazione delle pelli, una linea di metallo che scorre velocemente sotto le mani delle operaie, e attraverso le dinamiche tra i personaggi. L’uso quasi costante di primi piani e il montaggio del suono di carattere realista, crea un’esperienza immersiva totale, facendo emergere soprattutto le sue emozioni anche grazie all’incredibile performance della giovane attrice Marianna Fontana che da sola regge un intero film.

Tommaso Ragno, co-protagonista del film, è una presenza, una voce che non ha un volto, ma la cui forza è tale da condizionare le scelte dalla giovane protagonista. È la voce del padre, l’eco di un fantasma, la rappresentazione sonora di un legame – quello tra padre e figlia – segnato dalla distanza e dalla nostalgia. Per raccontare questa storia intima di crescita e ricerca della libertà, i registi scelgono un approccio delicato e generoso, lasciando che le emozioni diventino il motore della narrazione.

LUCE infatti pur distaccandosi da un sentimentalismo eccessivo, è capace di toccare corde del privato e sentimenti comuni soprattutto ai più giovani.

Le anteprime organizzate per le scuole superiori, sono state un grande successo e una grande sorpresa in termini di partecipazione e interazione con i ragazzi, che nel film trovano spunti legati alla propria vita, sia essa reale che virtuale.

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