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“Il silenzio grande” di Alessandro Gassmann su Rai Play

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Guarda Il silenzio grande di Alessandro Gassman su Rai Play

In uno dei più tragici e difficili momenti per l’umanità, per colpa della pandemia Covid arrivata nel 2020, Alessandro Gassmann ha girato a Napoli “Il silenzio grande“, film tratto dall’omonima opera teatrale di Maurizio de Giovanni. Un piccolo gioiello registico e interpretativo che si avvale di un testo straniante ed ironico, in un’atmosfera claustrofobica perennemente in ombra che richiama lo stato d’animo della maggior parte dei personaggi.

Il cast a cui si deve la riuscita del film è composto da un ottimo Massimiliano Gallo affiancato dalle straordinarie Margherita Buy e Marina Confalone, dai giovani Antonia Fotaras ed Emanuele Linfatti e dalla fugace e fondamentale apparizione di Roberto De Francesco.

Il silenzio grande” è stato presentato alla 78a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ed uscito in sala il 16 settembre 2021.

La trama

Villa Primic, un tempo lussuosa dimora, ora scricchiolante magione che sembra uscita da un racconto di fantasmi, è stata messa in vendita.

Una decisione dolorosa, presa dalla signora Primic, Rose, e condivisa a dai due eredi della fortuna dilapidata della famiglia, Massimiliano e Adele: l’unico che non è affatto contento è il capofamiglia, Valerio, che scoprirà di non aver mai davvero conosciuto i suoi cari e, forse, nemmeno se stesso, fino a raggiungere l’amara consapevolezza che vivere non significa essere vivi.

Il silenzio grande secondo Alessandro Gassmann

Nel 2019, mentre recitavo sul set della seconda edizione della serie tv “I bastardi di Pizzofalcone“, incontrai l’autore dei libri da cui è tratto il film, Maurizio De Giovanni, e lo esortai a scrivere un testo teatrale legato a Napoli e alla sua aura sotterranea di mistero. Maurizio lo scrisse in soli 20 giorni e quando lo lessi, pensai subito che fosse un’opera che rivelava forti radici e potenzialità per un film che mi sarebbe piaciuto dirigere. Lo spettacolo che abbiamo allestito ci ha regalato emozioni indimenticabili fin dal debutto in scena avvenuto due anni fa al Festival del Teatro di Napoli e poi durante una stagione di repliche di grandissimo successo interrotta per il Covid a febbraio del 2020.

Il silenzio grande” racconta la storia di una famiglia che in qualche modo somigliava alla mia, con un grande capofamiglia molto colto e molto noto, e accanto a lui sua moglie, la governante di sempre della casa e due figli ventenni. Una storia segnata da conflitti, equivoci, confronti, luci ombre, silenzi ed esplosioni di parole, risate e angosce di una famiglia tanto eccezionale quanto, nel suo intimo, caotica e disfunzionale, dove tutti parlano e nessuno veramente ascolta. Parliamo di legami familiari, di cambiamenti inevitabili, del tempo che passa, e lo facciamo alla metà degli anni Sessanta a Napoli, a Posillipo. Un grande e celebre scrittore di fama internazionale, Valerio Primic, per motivi misteriosi è a corto di ispirazione e non scrive più libri da dieci anni per cui lui, sua moglie Rose e i suoi due figli ventenni, Massimiliano e Adele, non potranno più permettersi di continuare a vivere nella splendida villa in cui abitano, un tempo lussuosa dimora, ora scricchiolante magione che sembra uscita da un racconto di fantasmi.

La casa è stata messa in vendita da Rose per necessità: una decisione dolorosa che provoca forti reazioni nei figli che perderebbero così l’involucro dorato che li avvolge, nella fedele governante Bettina che si dispera per la prospettiva di non avere più una casa in cui vivere e in Valerio che scoprirà di non aver mai davvero conosciuto i suoi cari e, forse nemmeno se stesso, fino a raggiungere l’amara consapevolezza che vivere non significa essere vivi. In particolare i figli e la moglie decidono di raccontare allo scrittore cose difficili: la ragazza gli rivela di essere incinta; il ragazzo, che si sente schiacciato da un padre che eccelle così straordinariamente in tutto, finisce col rivelargli la propria omosessualità e si sorprende quando scopre che il padre non si sconvolge e anzi avrebbe voluto che gliene avesse parlato prima; la moglie gli dice che la vendita della villa è stata finalmente perfezionata e che i nuovi proprietari sarebbero arrivati presto. Il finale imprevisto capovolgerà il punto di vista dello spettatore e servirà a giustificare le tante stranezze emerse nel corso del racconto.

Si tratta di una vicenda incentrata sui sentimenti e sugli affetti familiari che abbiamo scelto di ambientare nel 1965 per raccontare un’Italia e un modo di parlare ormai scomparso: a quell’epoca nel nostro Paese e nel mondo eravamo tutti più vicini, la parola, la comunicazione e il contatto erano molto più importanti mentre invece oggi si parla sempre meno perché si preferisce scrivere gli sms sui cellulari… C’era una certa forma che accompagnava i rapporti tra le persone, improntati comunque ad un maggiore rispetto, attenzione e ascolto, qualcosa che è andato completamente perduto in una
società in cui si ascolta molto meno e questo è un aspetto che coinvolge anche i più giovani, a loro volta puniti dalla mancanza di attenzione e di ascolto da parte dei genitori. C’ è stato subito un forte interesse per il progetto da parte di Isabella Cocuzza e Arturo Paglia di Paco Cinematografica che hanno in seguito coinvolto come partner produttivi Amazon, Sky e Rai Tre.

Il film è teatrale, l’impianto è claustrofobico perché restiamo sempre all’interno di una villa (abbiamo nell’inverno 2020 in una Napoli “in zona rossa” per il Covid) ma abbiamo cercato di lavorare sulla misura, sulle intenzioni rarefatte degli attori, senza spingere troppo verso la risata o la commozione come spesso succede nei film italiani. Cercavo una bella forma e così ho scelto di avvalermi della fotografia di Mike Stern, un Direttore della Fotografia polacco che avevo conosciuto e apprezzato a Trieste sul set del film “Non odiare“, mi piaceva l’idea di una fotografia particolarmente sobria ed elegante, la Villa Kernot di Posillipo in cui abbiamo girato diventerà per chi vedrà il nostro film il luogo in cui sognerà di poter vivere. Molto importanti si sono rivelate anche la colonna sonora di due musicisti che amo molto come Pivio e Aldo De Scalzi e la sceneggiatura scritta da Andrea Ozza, il supervisore della seconda serie di “I bastardi di Pizzofalcone“, oltre che da Maurizio De Giovanni e da me. L’idea è venuta in mente quasi contemporaneamente a Maurizio e a me ma la struttura è
tutta opera sua, io ho sviluppato il suo testo sia in teatro che al cinema a mio modo rispetto a come lo aveva scritto ma lui mi ha fatto tanti complimenti dicendomi che aveva visto nel mio lavoro qualcosa che andava più in profondità rispetto a quello che lui aveva immaginato.

I giorni delle riprese hanno rappresentato per me un viaggio paradisiaco grazie ai miei attori che già ammiravo tanto e che non esito a definire sublimi. Sono molto soddisfatto per tanti motivi, a partire dal fatto che gli interpreti principali incarnano personaggi diversi da quelli per loro abituali. Massimiliano Gallo ha avuto finalmente l’opportunità di recitare finalmente per il cinema un ruolo da protagonista per cui ha dimostrato di essere pronto e maturo rivelandosi un attore di categoria ed eleganza superiore. Gli ho chiesto di usare misura e compostezza e lui, anche se portava sulle sue spalle l’intera storia, lo ha fatto in maniera sobria e misurata, al punto da sembrare in scena quasi un attore… scandinavo. È un uomo con una bellissima faccia e gli occhi azzurri, in certi momenti appare bellissimo e in altri soprattutto buffo. Di lui ho sempre apprezzato la fantastica ironia. Rappresenta il motore comico del film, insieme a Marina Confalone riesce a far ridere anche se sposta solo un sopracciglio e poi incarna un personaggio che lo tocca molto in profondità perché è figlio di un grande artista molto amato e molto speciale, il cantautore napoletano Nunzio Gallo. Ha vissuto il suo personaggio in maniera molto personale e intensa, ha fatto un gran lavoro “in levare” rispetto a quello fatto in teatro, riproponendo il suo personaggio in maniera molto diversa: nonostante gli applausi e le risate sicure sperimentate in palcoscenico ha “tolto” tutto e ora fa ridere ancora di più.

Per quanto riguarda poi Margherita Buy e Marina Confalone, ho pensato subito a loro, sono entrambe due grandi attrici e sapevo che sarebbero state ideali per i rispettivi ruoli. Margherita ha accettato subito volentieri l’impegno con me, nonostante io non sia un regista di fama… era l’interprete che conoscevo meno e che temevo di più perché in genere è molto severa, soprattutto con se stessa. Si è rivelata invece sorprendente e commovente, l’ho ammirata moltissimo perché ha “domato” la sua nevrosi già molto sfruttata al cinema per dar vita ad una donna che ha la sua vera età ed è pervasa da una vena di straziante malinconia, emotivamente molto coinvolgente. Quando ha visto il film pronto era molto contenta, ma quando mi ha detto di essere convinta che avrebbe potuto recitare ancora meglio io le ho risposto subito che meglio di così non si poteva…

Marina Confalone, invece, è da tempo la più grande attrice napoletana in circolazione, un vero e proprio fenomeno, e sono stato felice di aver potuto contare su di lei per un personaggio di grande tenerezza, qual è la governante Bettina, che porta avanti il meccanismo comico della situazione. La conoscevo perché è da tempo una delle migliori amiche di mia moglie Sabrina, lei ha sempre apprezzato molto il mio teatro, le era piaciuta molto anche la versione teatrale, così ha accettato subito di prendere parte al film e in scena fa quello che ti aspetti da un’artista sublime come lei. Infine, Antonia Fotaras ed Emanuele Linfatti, i due giovani rispettivamente di 20 e di 24 anni che interpretano i due figli, sono fantastici, li ho scelti dopo tanti provini notando con grande piacere che il livello degli attori giovani in Italia è oggi molto più alto rispetto all’epoca in cui avevo io la loro età.

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