“I film alla Pupi Avati? Contento, vuol dire avere uno stile riconoscibile”
Dal fallimento degli inizi al film su Dante: la saggezza di Pupi Avati al XII Social World Film Festival
Solitamente quando nella vita si ha un piano B, vuol dire che il piano A non andrà mai in porto, che il sogno non si avvererà. Non si tratta di essere previdenti, realisti, prudenti: si tratta di crederci e volere davvero una cosa a prescindere dai fallimenti che inevitabilmente arriveranno.
Con i miei primi due film – ‘Balsamus, l’uomo di Satana’ del 1968 e ‘Thomas e gli indemoniati’ del 1970 – ho fatto perdere oltre 170 milioni ad un imprenditore bolognese, che era un amico di famiglia.
Sono dovuto scappare da Bologna perché ero diventato lo zimbello di tutti. A Roma sono stato quasi quattro anni disoccupato, ma poi… la mia vita è cambiata, ed ora sono qui con voi che mi consegnate un premio alla carriera.
Pupi Avati, regista classe 1938, è arrivato a Vico Equense (NA) per ricevere il Golden Spike Award alla carriera alla dodicesima edizione del Social World Film Festival: un riconoscimento che il Direttore Giuseppe Alessio Nuzzo desiderava fortemente consegnare ad uno degli autori più influenti del Cinema italiano degli ultimi quarant’anni. Il regista bolognese ha dispensato saggezza, ironia dolceamara e perle aneddotiche sulla sua vita e la sua carriera.
La masterclass con i ragazzi e il film su Dante
Nel pomeriggio della giornata trascorsa in costiera ha incontrato un centinaio di giovani aspiranti attori per parlare di Cinema, di sogni e di aspirazioni e li ha salutati dicendo:
Oggi sono qui per una o uno solo di voi, non so chi sia… ma ho la presunzione di pensare che questo nostro incontro possa avergli cambiato la vita.
Prima in conferenza stampa poi in piazza, incontrando il pubblico per presentare la proiezione del suo film ‘Lei mi parla ancora’, Pupi Avati ha parlato di ‘Dante’, il suo lavoro in uscita nei cinema a settembre.
‘Dante’ è il mio film che ha avuto la rincorsa più lunga. Vent’anni fa non me lo fecero fare, ma col senno di poi ne devo essere contento perché non sono passati invano: mi sono serviti per arricchire il mio studio sul personaggio e sul periodo storico… studio che era iniziato già ai tempi di ‘Magnificat’ e in parte proseguito con ‘I cavalieri che fecero l’impresa’
Un’opera ambiziosa oltre che difficoltosa sia da concepire che da mettere in pratica.
Dante è un personaggio che spaventa, il Cinema non lo ha mai raccontato perché già solo il pensare di fare un film su di lui metteva in allarme produttori, distributori e compagnia bella.
Prima Zeffirelli poi Pasolini avevano intenzione di fare un film sull’Inferno ma è stato impossibile e sinceramente credo che non sarebbe stato utile dato che la Divina Commedia è un’opera talmente completa, sotto ogni punto di vista, che il tentativo di trasporla in immagini non potrebbe aggiungere nulla a qualcosa di tanto magnifico.
Io ho preferito raccontare l’essere umano Dante Alighieri, attraverso un altro personaggio immenso della letteratura e cultura italiana, Boccaccio, che utilizzo come chiavistello per accedere ad una storia tanto affascinante quanto poco conosciuta.
Credo che per il prestigio, il peso specifico di Dante nella Storia italiana questo film possa avere una valenza didattica. Lo considero una summa di gran parte del mio Cinema; è la mia dichiarazione d’amore a Dante e Boccaccio, anzi, penso che Dante me ne sia grato, mi abbia voluto bene e mi abbia accompagnato spiritualmente nella lavorazione di questo film.
L’identità dei film “alla Pupi Avati”
Negli anni i critici, gli addetti ai lavori hanno spesso parlato di film alla Pupi Avati non sempre in maniera positiva, in alcuni casi tacciando di ripetitività le sue opere e semplificando, come al solito, un Cinema fatto di commedia e dramma, sentimenti e storie di vita vissuta, dimenticando totalmente le pellicole satiriche e le numerose incursioni d’autore nell’horror.
Eppure, quando si fa presente al regista di ‘La casa dalle finestre che ridono’, ‘Regalo di Natale’, ‘Ultimo minuto’, ‘Il papà di Giovanna’, ‘L’arcano incantatore’ e ‘Il cuore altrove’ – solo per citarne alcuni – , questo timbro comunicativo che alcuni gli hanno affibbiato nel tempo, lui, serafico, risponde:
Sono contento, mi fa piacere perché significa aver raggiunto un’identità, uno stile riconoscibile.
Altro segno distintivo del Cinema di Avati è l’aver stravolto le regole non scritte dell’ambiente cinematografico che “impongono”, più che consigliano, di utilizzare in un dato periodo storico determinati attori per seguire l’onda e andare sul sicuro.
Renato Pozzetto, in ‘Lei mi parla ancora’, è solo l’ultimo attore in ordine cronologico che ho scelto per stravolgere l’idea che si ha di un interprete. Ho sempre voluto prendermi questo rischio e la maggior parte delle volte sono stato ripagato a partire da quel Carlo Delle Piane che, prima di ‘Una gita scolastica’, era utilizzato solo come macchietta comica perché bruttino e simpatico ed è diventato un attore formidabile.
Con Renato avevamo litigato pesantemente anni fa quando avrebbe dovuto girare con me ‘Ma quando arrivano le ragazze?’, ma poi trattò male un autista della produzione e non lo volli più e diedi il ruolo a Dorelli.
Stavolta il ruolo del protagonista di ‘Lei mi parla ancora’ doveva essere di Boldi che, dopo aver accettato, fatto prove costumi e avermi dato disponibilità e conferma si è eclissato ed è andato a fare ‘Vacanze su Marte’ con Neri Parenti.
Così, preso alla sprovvista, riflettendo un po’ mi è venuto in mente di nuovo Pozzetto, ma c’era la questione del litigio di qualche anno prima. Così l’ho fatto chiamare da mio fratello e lui ha acconsentito ad incontrarmi.
Quindi sono andato a casa sua e mangiando spaghetti al pomodoro e stracchino – non sapeva cosa fosse a Milano non mangiano stracchino – gli ho parlato del film e mentre raccontavo lui si è messo a piangere, perché la storia del protagonista era in pratica ciò che gli era capitato esattamente otto anni prima quando aveva perso la moglie.
Ho capito che era la scelta giusta, solo Pozzetto avrebbe potuto ricoprire quel ruolo e lo ha fatto tanto bene da vincere il Nastro d’Argento.
A proposito di attori, Pupi Avati, stimolato ad esprimere un’opinione sul partenopeo Lino Musella che in ‘Lei mi parla ancora’ interpreta il ruolo del protagonista da giovane, ha detto:
Lino Musella è un vero talento: bravissimo. Ha una impressionante capacità di variare modalità interpretative. Se pensate, ad esempio al ruolo che ha fatto in ‘Favolacce’ e quello con me in ‘Lei mi parla ancora’, completamente diversi eppure eccezionale in entrambi i film.
Lo definirei un attore multitasking. E, oltretutto, è un bravo ragazzo, una bella persona.
Salutando il pubblico di Vico Equense prima della proiezione di ‘Lei mi parla ancora’ Pupi Avati ha dato un consiglio:
Non vi accontentate mai. Non pensate ad adagiarvi su ciò che avete fatto e che state facendo, non vi fermate.
Io non penso assolutamente di essermi realizzato, anzi vi confido un segreto: volevo fare il musicista, non il regista, e non ci sono riuscito.
Ad ogni modo, non credo di aver raggiunto l’apice del mio lavoro, ho ancora la pretesa e la voglia di fare meglio.
Prima di ricevere il Golden Spike Award, congedandosi ha voluto dire un’ultima cosa:
Ricordatevi questa parola: vulnerabilità. Le persone che davvero contano a questo mondo sono vulnerabili, fragili… sono quelle che hanno bisogno di supporto perché sono le più facili da abbattere emotivamente solo con una parola.
Eppure, la maggior parte delle volte nascondono creatività, talento, genialità. Per questo è importante volgere lo sguardo a chi è vulnerabile. Diffidate da chi è troppo sicuro di sé.