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“The father”: il viaggio verso l’ignoto di un padre e sua figlia a causa dell’alzheimer

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È un ineluttabile fatto della vita che in ogni rapporto tra un genitore e un figlio arrivi il momento in cui quest’ultimo diventa un “badante” e la madre o il padre una persona non autosufficiente.

Questa realtà è il nucleo centrale di “The father – nulla è come sembra“. Una drammatica storia famigliare splendidamente cesellata che unisce gli attori premio Oscar Anthony Hopkins e Olivia Colman nello struggente racconto di quello che accade quando un rapporto che per decenni ha colorato ogni singolo momento di vita all’improvviso cambia in modo irrevocabile.

Al suo esordio alla regia cinematografica il pluripremiato drammaturgo francese Florian Zeller, che firma la sceneggiatura insieme al suo collaboratore di lunga data e traduttore Christopher Hampton, dirige un sensazionale cast capitanato da Anthony Hopkins e Olivia Colman nei panni dell’anziano padre e della figlia di mezza età che lottano per adattarsi alle mutate circostanze di vita.

Passato al cinema dal mondo del teatro, Zeller è abituato a costruire con il pubblico un rapporto che egli descrive ludico e giocoso. Lontano dal consueto ruolo di mezzo d’espressione naturalistico, il film consente agli spettatori di scoprire che quello che vedremo sullo schermo non necessariamente ci restituirà una versione autentica del mondo.

In “The father” percepiamo la realtà attraverso il prisma dello stato confusionale del personaggio di Anthony, man mano che la sua demenza mette in moto un graduale declino che coinvolge ogni aspetto della sua vita quotidiana. Ma non si tratta solo di un film sull’alzheimer e Anthony è molto più di un inaffidabile narratore. È al centro di una lotta che regala alla storia elementi sia del thriller che dell’horror – con la mente di Anthony alle prese con un’incessante nemesi. Nelle intenzioni del regista, il pubblico dovrebbe provare la sensazione di “cercare a tentoni la strada in un labirinto”.

Malgrado un tema apparentemente cupo, “The father” è costruito su fondamenta di empatia umana, con momenti di ilarità e persino con un senso di gioia. Il film celebra l’indissolubile legame che esiste tra un genitore e una figlia mentre partono abbracciati per un viaggio verso l’ignoto.

La trama

Anthony ha 81 anni. Vive da solo nel suo appartamento londinese e rifiuta tutte le persone che sua figlia Anne cerca di imporgli. Presto però Anne non potrà più andare a trovarlo tutti i giorni: ha preso la decisione di trasferirsi a Parigi con un uomo che ha appena conosciuto…

Ma se è così, allora chi è l’estraneo che piomba all’improvviso nel soggiorno della casa di Anthony, sostenendo di essere sposato con Anne da oltre dieci anni? E perché afferma con tanta convinzione che quella dove vive è casa sua e della figlia? Eppure Anthony è sicuro che quello sia il suo appartamento.

Sembra esserci nell’aria qualcosa di strano, come se il mondo ad un tratto avesse smesso di seguire le regole abituali. Smarrito in un labirinto di domande senza risposta, Anthony cerca disperatamente di capire che cosa stia succedendo attorno a lui.

The father” è il racconto di un uomo la cui realtà si sgretola pian piano davanti a nostri occhi.

The father“: le parole del regista prima della trasposizione dal Teatro al Cinema (maggio 2019)

The father” esiste innanzitutto come opera teatrale. L’ho scritta nel 2012 per Robert Hirsch che ha magistralmente impersonato il protagonista sul palcoscenico per oltre tre anni. Sono rimasto al suo fianco per tutto quel tempo e oggi sono in grado di affermare che conosco questa storia dall’interno e che non ignoro alcuno dei percorsi che intraprende o dei sentimenti che evoca. Da allora è andata in scena in oltre 35 paesi diversi e ho avuto la grande fortuna di seguire la maggior parte di queste produzioni. Quello che mi ha davvero colpito, in qualunque paese, è stata la straordinaria reazione del pubblico alla pièce. Affronta un argomento che malgrado sia doloroso, riguarda ciascuno di noi.

Tutti noi abbiamo intravisto in un nonno, in un genitore o in una persona altrettanto cara, le prime inquietanti avvisaglie della perdita della ragione. E a quel punto chi di noi, con il cuore pesante, non si è fatto domande sul passare del tempo e su quello che comporta a livello personale? Ma sono anche convinto che la reazione del pubblico sia stata così forte perché l’opera utilizza una strategia narrativa originale: gli spettatori si trovano dentro la mente del protagonista, ma se ne rendono conto solo gradualmente. Dunque anche nella versione cinematografica, il pubblico sarà invitato a essere testimone in prima persona dell’esperienza della demenza.

Ci tenevo che il film preservasse questa immediatezza per gli spettatori. Inoltre, dal momento che mi stava a cuore che sia il film sia la sceneggiatura fossero esuberanti, ho chiesto a Christopher Hampton di adattare il testo per il grande schermo. Sono convinto che il film non farà che amplificare ed estendere l’inedita narrazione di forte impatto emotivo proposta in primo luogo dalla sceneggiatura teatrale. Il film sarà quasi interamente girato in un teatro di posa. L’appartamento di Anthony diventerà uno dei personaggi principali. Via via che la storia si dipana, subirà una serie di trasformazioni, spiazzando ulteriormente sia il pubblico che il protagonista.

La vicenda ruoterà attorno agli stessi spazi e a spazi analoghi (e la scelta dell’inquadratura, come pure del modo in cui ci muoveremo in questi spazi, enfatizzerà questa sensazione), ma ogni dettaglio sembrerà indicare che i personaggi non si trovano nello stesso appartamento (gli arredi, il mobilio…). Queste trasformazioni si moltiplicheranno e produrranno un ambiente che potremo facilmente identificare come una residenza assistenziale. Il film si aprirà su un registro simile a quello del thriller e uno dei principali punti di forza sarà la suspense. Ci porremo le stesse domande che si pone il protagonista: “che cosa sta succedendo attorno a me?”.

Tuttavia la preoccupazione spesso cederà il passo a momenti di comicità e assisteremo all’energica e a tratti crudele ed esilarante lotta di un uomo convinto di essere ancora lucido e più che mai determinato a contrastare chiunque creda che non lo sia. Se la tendenza estetica sarà inequivocabilmente realista, la costruzione del film non seguirà una realtà costante: coesisteranno vari livelli di realtà, molte azioni saranno in contraddizione e i personaggi non appariranno avere sempre la stessa identità. Chi sta realmente parlando? Chi esiste veramente? E chi è questa donna che sostiene di essere sua figlia?

Voglio che questo film eviti ogni forma di ottusità e spero al contrario che possa ispirare un’immensa lucidità e un profondo senso di umanità. Porteremo il pubblico a provare la costernazione del protagonista e a commuoversi per il suo sgomento e per la vulnerabilità e insicurezza che ciascuno di noi sperimenterà quando si avvicinerà la fine della nostra vita.

Infine, mi sia permesso citare alcuni film per una migliore descrizione dell’universo che vorrei creare, che vorrei evocare e per favore perdonatemi se menziono solo autentici capolavori: Amour di Haneke, per la semplicità e la violenza dell’emozione suscitata; Rosemary’s baby di Polanski per il coinvolgente clima di stranezza che impone in uno spazio unico; e Mulholland Drive di David Lynch, per l’inventività narrativa che fa coesistere numerose realtà contraddittorie e pone attivamente gli spettatori in una posizione in cui possono scoprire le proprie ragioni all’interno del film.

Florian Zeller

La produzione di “The father

Nel trasferire la visione di Zeller dal palcoscenico al grande schermo è stato cruciale il ruolo dei produttori David Parfitt, Phillippe Carcassonne e Jean-Louis Livi. Phillippe e Jean-Louis si sono occupati dell’acquisizione dei diritti cinematografici e dello sviluppo iniziale del progetto in Francia mentre Parfitt si è unito al team per contribuire a traghettarlo oltre Manica e nella fase produttiva. In passato Liv aveva prodotto un cortometraggio diretto da Zeller e quando si è sparsa la voce della versione cinematografica della pièce Il padre, i due sono stati felici di lavorare di nuovo insieme.

The father” sarebbe stato il primo lungometraggio firmato da Zeller in qualità di regista, ma i produttori e altri attori coinvolti erano certi che grazie al suo talento e al suo personale legame con il progetto Zeller fosse l’unica scelta. A chi ha la memoria lunga non occorre ricordare che David Parfitt ha creato sia la Compagnia Teatrale Renaissance sia successivamente la Renaissance Films insieme a Kenneth Branagh. Considerando il background di Parfitt in teatro, si potrebbe pensare che sia stato l’unico artefice della trasposizione di Il padre dal palcoscenico allo schermo. Tuttavia, egli sostiene di aver avuto un ruolo minore nelle prime fasi di sviluppo del progetto.

Parfitt ha dichiarato “Molti miei lavori nascono in teatro e ancora oggi produco spettacoli teatrali. Avevo visto la pièce nel West End e ogni scena mi aveva sorpreso e stimolato. La narrazione mira a confondere il pubblico, ma quello che mi aveva colpito erano gli elementi del thriller. La progressiva presa di coscienza era magistrale, ma come Anthony lo spettatore non deve trovare la via d’uscita dal labirinto. Sapevo che i diritti cinematografici non erano disponibili dunque non mi sono interessato, ma ho capito subito che l’opera si prestava a un adattamento cinematografico”.

Secondo Parfitt, il successo della trasposizione è in gran parte merito della chiarezza della visione di Zeller e Carcassonne concorda. “Florian ha la straordinaria capacità di adattarsi a qualunque circostanza in cui si trovi”, dichiara. “Ha dato prova di una resilienza che tutti noi sappiamo essere una dote essenziale per sviluppare un film e ha avuto un ruolo chiave nell’attrarre il meglio del talento attoriale britannico in The father. È grazie alla sua passione e alla qualità della sceneggiatura che siamo riusciti ad avere le persone che volevamo nei ruoli principali. E abbiamo ottenuto grossi nomi in ruoli relativamente piccoli”.

Dopo che i tre produttori si sono assicurati i giusti attori e tecnici, la produzione si è svolta senza intoppi nelle cinque settimane di riprese. “Girare un film è un’esperienza piuttosto normale in qualunque parte del mondo uno si trovi“, continua Carcassonne.

Ma l’atmosfera sul set di The father era estremamente gradevole. Non eravamo molto preoccupati per la mancanza di esperienza di regia di Florian, perché per un regista l’esperienza può essere tanto una maledizione quanto una benedizione. Ma è stato un viaggio molto confortevole. Penso che quello che conta sia la natura dei personaggi che vediamo: persone normali che cercando di affrontare questioni di vita essenziali. Io non ho mai vissuto in prima persona una situazione di declino mentale e confusione cognitiva in età avanzata, ma mia madre ha novant’anni e malgrado sia molto arzilla, presto potrei trovarmi ad affrontare quest’ultima prova. Inoltre, non penso che in realtà il tema del film sia la demenza. Ha più a che vedere con il perdono e il cambiamento del rapporto che abbiamo con i nostri genitori”.

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