HAMMAMET – uno sbalorditivo Pierfrancesco Favino è Craxi nell’ottimo film di Gianni Amelio
Nel Cinema capita, non di rado, che una mastodontica interpretazione faccia un film, lo innalzi qualitativamente, lo timbri nella memoria popolare, di spettatori e addetti ai lavori, esclusivamente per la prova attoriale. In Hammamet Pierfrancesco Favino è sorprendente: il suo Craxi è impressionante per la gestualità, la parlata, la fisicità sofferta e la fiera supponenza identica a quella del leader socialista; e la metamorfosi dell’attore, visivamente, è merito anche del lavoro straordinario di Andrea Lanza, in questo caso non semplicemente truccatore, ma scultore.
Eppure parlare solo di Favino e della sua straordinaria interpretazione sarebbe ingiusto; Gianni Amelio ha girato un ottimo film, un’opera difficile per il personaggio trattato e per il modo in cui ha scelto di narrare. Hammamet racconta l’ultimo periodo di vita di uno dei politici italiani più influenti, carismatici e odiati del Novecento.
L’emblematico prologo e la coscienza del re caduto
Il film inizia simbolicamente in Italia, a Milano, nel momento di maggiore potere di Craxi e del Partito Socialista, in un congresso che lo elegge segretario con una maggioranza bulgara; ma in quello stesso congresso il leader ha un incontro / scontro con un amico, un compagno di partito che gli sbatte in faccia la cruda verità sull’inaccettabile e criminosa gestione economica del PSI, tra corruzione e finanziamenti illeciti.
L’emblematico prologo diviene fondamentale perché la storia una volta trasferitasi in Tunisia, qualche tempo dopo, con il leader politico già travolto dalle indagini di Mani Pulite, catapulta nella sua vita il figlio di colui che anni prima al famoso congresso gli aveva preannunciato la deriva tragica del partito. Un espediente narrativo che Amelio inserisce alla stregua di una coscienza incombente per Craxi, con cui fare i conti nel momento più difficile della sua vita.
Hammamet è basato su testimonianze reali ma la sceneggiatura non segue una cronaca precisa dei fatti né intende essere un ritratto fedelmente biografico, ha l’andamento di un thriller che si sviluppa su tre caratteri principali: il re caduto, la figlia che lo accudisce e che lotta per lui, e il misterioso ragazzo che si introduce nel loro mondo e che, volente o nolente, si trova a scardinarlo.
Il racconto di un inevitabile declino
Amelio non ha girato un’opera agiografica su Craxi, e chi andrà a vedere Hammamet pensando di trovare revisionismi storici o assoluzioni morali rimarrà deluso: la volontà di raccontare nella sua fase discendente un essere umano che ha conosciuto potere, gloria e ribalta è ciò che emerge guardando il film.
La bravura nel tratteggiare, affidandosi a un attore eccezionale, la spigolosità caratteriale del personaggio anche nei rapporti familiari e nei momenti di maggiore sofferenza e debolezza è uno dei pregi del regista che sceglie di non affidarsi al ritmo tanto caro al Cinema moderno e agli spettatori amanti di serie TV, ma preferisce soffermarsi in alcuni casi sulla simbolica lentezza dei movimenti e degli sguardi del protagonista così come di tutti i personaggi.
Hammamet è un film importante, cinematograficamente e storicamente, perché Craxi è stato politicamente un gigante se confrontato ai ‘pigmei’ che si improvvisano politici dall’inizio del terzo millennio. Ma è stato anche un uomo, condannato con sentenza passata in giudicato a 5 anni e 6 mesi per corruzione nel processo ENI-SAI e a 4 anni e 6 mesi per finanziamento illecito per le tangenti della Metropolitana Milanese (oltre a vari procedimenti conclusi per estinzione del reato e a prescrizioni), che pensava di essere un ideale capro espiatorio perseguitato da una giustizia e da un’opinione pubblica che lo avevano eretto a colpevole supremo per reati che, a suo parere, erano divenuti consueti perché “la democrazia ha un costo“; e per questo è fuggito ad Hammamet per quella che non può essere considerata una latitanza ma di sicuro non era un esilio.
Il fascino del film di Gianni Amelio sta nel mostrare, nel periodo tunisino, la ‘cancrena’ emotiva e morale, oltre che fisica, del senso di onnipotenza, di quella fierezza superba che ha contraddistinto il leader socialista, tanto da portarlo alla fine di Hammamet ad un probabile testamento/confessione e ad un vero e proprio mea culpa.