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“Le déluge – gli ultimi giorni di Maria Antonietta” di Gianluca Jodice è al cinema

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Il regista napoletano Gianluca Jodice aveva esordito dietro la macchina da presa con “Il cattivo poeta” nel 2020. Dopo quattro anni arriva sul grande schermo “Le déluge – gli ultimi giorni di Maria Antonietta“, un’opera di straordinario livello cinematografico sia tecnico che narrativo, interpretata da Mélanie Laurent, Guillaume Canet, Aurore Broutin, Hugo Dillon e Fabrizio Rongione. Jodice decide di trattare in maniera originale un evento storico come quello della Rivoluzione Francese raccontando il periodo di “limbo” della famiglia reale prima dell’esecuzione.

Quando si parla di Maria Antonietta e Luigi XVI vengono subito alla mente merletti, alte parrucche, vestiti sgargianti, Versailles oppure la ghigliottina. Tra questi due estremi, c’è un tempo che nessuno ha mai raccontato: i pochi mesi in cui gli ultimi re e regina di Francia con i loro due figli vennero incarcerati in un castello alle porte di Parigi, in attesa di essere giustiziati. Un tempo breve e condensato, dove tutte le maschere caddero: quella dei due reali come figure pubbliche e private e quelle della Storia che voltò definitivamente pagina.

Merletti, parrucche, feste, Versailles…
…niente di tutto ciò è in questo film.

C’è il lato oscuro invece, il rovescio della medaglia: celle buie, violenze, sofferenza e fine. il film racconta un passaggio che nessuno ha mai raccontato: i pochi mesi in cui gli ultimi reali di Francia con i loro due figlioletti vennero incarcerati in un cupo castello medievale a Parigi, in attesa di essere giustiziati. Un tempo breve da cui nacque il mondo di oggi, come noi lo conosciamo. Un tempo in cui tra rese dei conti pubbliche e private tutte le maschere e i simboli di un’epoca caddero: quelle del re e della regina, quelle dell’antico regime tutto, quelle della Storia che voltò pagina, e quella di Dio che da allora in avanti fu eclissato nell’ombra, lasciando l’uomo più solo. Le Déluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta è un film apocalittico, nel senso più letterale del termine: quello di svelamento.

Il film ha una vocazione metafisica più che storica e racconta anche un’apocalisse intima. Quella dei suoi protagonisti. Luigi e Maria Antonietta entrano in prigione quasi da estranei: il loro ovviamente è un matrimonio combinato tra le due più grandi potenze europee per sancire un’alleanza politica. Lei bella, seducente, viziosa e lontana dai noiosi protocolli reali. Lui timido, privo di autorevolezza, non preparato a essere re. Due tipi più diversi era difficile immaginarseli. La rivoluzione, la prigionia, le vessazioni dei carcerieri, la morte che si avvicina cambieranno i nostri protagonisti e i loro reciproci sentimenti. Il re, prima della fine, riuscirà a guardare dentro la propria fragilità e darsi una morte da vero re, davanti allo stupore e al rispetto anche dei suoi carcerieri. Maria Antonietta passerà dallo spirito adolescente e sprezzante a quello di una madre capace di proteggere i propri figli e di una moglie presente e risoluta di fronte al suo tragico destino.

Il film si divide in tre atti: ‘gli dei’, ‘gli uomini’, ‘i morti’. Quasi come fossero le tre età dell’uomo. Proprio a voler ribadire la sua vocazione metafisica, Le Dèluge – Gli ultimi giorni di Maria Antonietta è il racconto di personaggi e della loro epoca, certo, ma con l’aspirazione a mettere in scena la condizione umana, il percorso su questa terra di ogni uomo. Nascita, ascesa, caduta. È proprio per questi obiettivi che la luce, i colori, il suono dovranno smarcarsi da qualsiasi ‘automatismo’ da film storico, cercando invece una radicalità, una modernità, essendo chiamati a esprimere un punto di vista contemporaneo sui fatti del 1792 (se è vero come è vero che un film ‘storico’ parla più dell’epoca in cui è fatto che dell’epoca di cui racconta le vicende). La distinzione in atti non vuole scolpire soltanto la scansione netta di tre passaggi narrativi e drammaturgici ma anche una differente modalità di messa in scena, di stile.

Il primo atto è ambientato in un enorme salone dove i rivoluzionari hanno provvisoriamente sistemato alla meno peggio i reali. Qui ci sono ancora gli Dei, ovvero il re e la regina in arresto, che conservano ancora i loro titoli e i loro simboli. La messa in scena sarà come l’ultimo dipinto del ‘700, la macchina da presa riprenderà sinuosamente le residue ritualità e dinamiche regali.

Nel secondo atto ci spostiamo nelle anguste e sporche celle dei piani superiori del castello. La situazione generale subisce un veloce tracollo. Lo stile sarà più secco, violento, la macchina da presa più nervosa, vicina al respiro e alla sofferenza dei protagonisti, spogliati ormai di tutti i loro privilegi e diventati uomini comuni.

Il terzo atto è l’atto della morte. Tutto è più sussurrato, cupo, riflessivo. È sparita la violenza, la contrapposizione monarchia/rivoluzione, anzi una strana e naturale vicinanza si instaura tra le parti fino ad ora contrapposte, e il linguaggio si fa più spoglio, essenziale, fatto di primi piani e di dettagli. È la fine.

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