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“Fuoco su di me” di Lamberto Lambertini

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Oltre duecento anni dopo si riaffaccia sul golfo la sagoma di Gioacchino Murat. Al re francese di Napoli è dedicato il film di Lamberto Lambertini Fuoco su di me, presentato al cinema Delle Palme di Napoli alla presenza delle autorità politiche cittadine, dei produttori Sergio Scapagnini e Luciano Stella, del regista e degli interpreti principali eccetto Omar Sharif.

La pellicola arriva sugli schermi in puntuale coincidenza con le celebrazioni per il Decennio francese: nel febbraio del 1806 Giuseppe Bonaparte diventa re di Napoli, sottraendo il trono ai Borbone. Dopo un anno lo scettro passa a Gioacchino Murat, cognato di Napoleone.

Una transizione epocale assai simile a quella che si è vissuta recentemente a Napoli, secondo Lambertini, che ricorda un giudizio di Benedetto Croce: “con il Decennio francese a Napoli finisce il Medioevo”.

Furono proprio Giuseppe Bonaparte e Murat a disegnare i confini e la struttura amministrativa della Provincia di Napoli come la conosciamo oggi. A merito dei re francesi i censimenti di uomini e proprietà, le grandi opere viarie, la promozione delle arti: tutte cose che Ferdinando IV di Borbone ereditò e di cui fece tesoro, una volta rimesso sul trono nel 1815 dal Congresso di Vienna.

“Dietro di noi non vediamo che macerie, davanti a noi non vediamo che deserto”, dice uno dei personaggi del film e il regista si chiede “non è così anche oggi?”.

E continua “Murat era il bisnonno di mia nonna. La casa nella quale sono cresciuto, in via Tarsia, era dominata da un ritratto del re. In famiglia era a un tempo venerato e dileggiato; Nonno Gioacchino lo chiamavamo. Ma questo è l’ultimo dei motivi per cui ho fatto il film. In realtà sono sempre stato colpito dal culto che ancora oggi il mio antenato ispira in consistenti strati della popolazione. Dunque c’è il gusto di rievocare un personaggio quasi rimosso dalla storia ufficiale, considerato un traditore dai francesi ma venerato dai napoletani: una figura carismatica come Maradona e Bassolino, direi anzi un loro precursore. Vorrei però – ribadisce il regista – che non passasse sotto silenzio l’aspetto politico del film. Perché tutto va bene: il romanticismo, la cultura e la bellezza, l’amore per Napoli. Il film è anche questo, ma è soprattutto un omaggio alla nobiltà della sconfitta. All’importanza di perdere oggi per vincere domani, per regalare un degno futuro a chi verrà dopo di noi”.

Il racconto di Fuoco su di me si sviluppa su due binari.

La vicenda umana e politica di Murat, interpretato dall’attore ungherese Zoltan Ratoti. E il tormento romantico del ventenne Eugenio (Massimiliano Varrese), istruito tanto alla ribellione che al disincanto dal nonno interpretato da Omar Sharif. Per la prima volta la star egiziana recita in italiano e racconta Lambertini “ è l’unica condizione che ha posto. Mi ha detto: pagami quanto pagheresti un qualunque attore napoletano ma mettimi a disposizione un coach per imparare bene la parte”, e Sharif ha confermato “un film così bello non potevo non girarlo. Un’operazione così raffinata e appassionante alla quale volevo assolutamente partecipare. Per la mia gloria e per la gloria di Napoli che considero la mia seconda patria”.

La bellezza della fotografia (Pino Sondelli), delle musiche (Savio Riccardi) e la cura meticolosa nella scelta di scene e costumi dell’epoca (De Marino, Battani, Giacci) sono i punti forti della pellicola, che spesso s’inceppa nella retorica e nella eccessiva maestosità dei dialoghi anche lì dove non pare essercene bisogno. Il fascino del personaggio Murat è innegabile; a passi da titano attraversa due secoli per imporsi sulla realtà dei nostri giorni. Chiedendo di poter comandare, nel castello di Pizzo Calabro che fu la sua ultima dimora, il plotone d’esecuzione preparato per lui dai Borbone; e ordinando di far fuoco in direzione del petto e non del viso: la scena leggendaria con cui si apre e si chiude Fuoco su di me.

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