“La Napoli di mio padre” di Alessia Bottone
Un cortometraggio dal sapore letterario
‘La Napoli di mio padre‘ di Alessia Bottone è un cortometraggio dal sapore letterario.
Le significative e affascinanti immagini d’archivio accompagnano quello che è, a tutti gli effetti, un racconto diviso in due parti: l’introduzione con le parole di una figlia – con la voce dell’attrice Valentina Bellè – che parla del padre, del suo sguardo perennemente rivolto verso un orizzonte sconosciuto per lei, fosse da dietro alla finestra di casa così come ad un finestrino di un treno che li sta portando verso Napoli. Perché Giuseppe, il padre di Alessia, è un emigrante che, dopo tanti anni, ha deciso di intraprendere un viaggio di ritorno nella sua terra di origine accompagnato dalla figlia che, guardandolo di profilo intento ad osservare il paesaggio che scorre via dal treno in corsa, gli chiede: Chi sei papà? Cosa vedi fuori da questo finestrino? Tu torni a casa, io invece dove sto andando?
Come per risposta a tali domande ha inizio la seconda parte del corto, di questo magnifico racconto, un monologo di Giuseppe Bottone che percorre le fasi della sua vita: dall’infanzia felice in povertà e promiscuità nel quartiere Vicaria, al passaggio ad una zona più borghese di Napoli che con l’agiatezza avrebbe dovuto portare serenità e gioia di vivere e, invece, si rivela la dimostrazione di quanto pesino i pregiudizi.
La voglia di fuga, l’esigenza di conoscere e vedere altro, porta Giuseppe a mettersi in cammino fino a quando l’incontro con una donna non lo spinge a fermarsi, pensando sia per poco… e accorgendosi, dopo 38 anni, di essere ancora lì con lei. Così il ritorno a Napoli si trasforma in un’occasione per raccontare il percorso di una vita e conoscere le proprie origini ripensando a quando da piccolo, con l’amico Napoleone, andava alla stazione a vedere partire i migranti italiani con la valigia di cartone.
E basta poco a Giuseppe per accomunare nella sua mente le immagini di quelle persone che in passato vedeva alla Ferrovia di piazza Garibaldi con quelle, recenti, dei migranti sui barconi, uniti dalla necessità di “fuga” e dalla paura dell’ignoto. Grazie a questo itinerario in treno, chilometro dopo chilometro, Alessia riesce a capire che quello che vedeva e a cui pensava il padre quando si fermava a guardare l’orizzonte erano i suoi ricordi, la sua Napoli.
Perché per quanto lontano si possa andare, si torna sempre là, dove tutto è iniziato.
Questa ultima frase che Giuseppe dice al termine del cortometraggio è solo una delle tante riflessioni, dirompenti nella loro semplicità, che compongono il testo del racconto.
Un corto sulla fuga: dalla realtà e per la sopravvivenza
La regista Alessia Bottone dando vita a quest’opera per un progetto sviluppato all’interno del Premio Zavattini 2018/2019, disegna, attraverso uno spunto autobiografico, un inedito ed emozionante rapporto tra padre e figlia riuscendo a toccare il tema della fuga, mettendo in parallelo quella dalla realtà e quella per la sopravvivenza.
La scelta tecnica di affidare la storia ad un vero e proprio testo letterario recitato da voci narranti e il racconto visivo a immagini di repertorio – per il passato al bianco e nero dell’Archivio AAMOD, dell’Istituto Luce Cinecittà e di Home Movies e per il presente a colori alle drammatiche riprese dell’ONG Sea Watch – risulta pregevole per ‘La Napoli di mio padre‘, un film breve, che ha la capacità di emozionare e far riflettere.
Dimostrazione ulteriore del valore del cortometraggio di Alessia Bottone – regista, sceneggiatrice e giornalista – sono i numerosi riconoscimenti ricevuti nei vari festival a cui ha partecipato negli ultimi mesi, oltre all’emblematica presentazione avvenuta al Museo della Migrazione Italiana di Melbourne.
Come consuetudine quando ci si trova al cospetto di opere così rilevanti, l’auspicio è che ‘La Napoli di mio padre‘ possa raggiungere platee sempre più vaste e che, magari, venga consigliato anche dai professori ai propri studenti.